martedì 23 febbraio 2016

GRAZIE, RUDI !




VENTITREESIMO SCRITTO SUL TEMA

MI VENGONO INCONTRO DAL PASSATO.. TENDENDOMI LA MANO..




AD UN GRANDE AMICO DI FAMIGLIA, 
CON IMMENSA GRATITUDINE..

AL RICORDO DI QUANTI LO CONOBBERO E LO AMARONO


LIMONE SUL GARDA  -  ESTATE DEL 1936
RUDI E RULLY SI DIRIGONO VERSO LA "GARBERA".
RUDOLF AMEND, ALL'ETA' DI DODICI ANNI, IN VACANZA PER LA PRIMA VOLTA
SUL GARDA, IN BARCA SUL LAGO IN COMPAGNIA DI MARIA RULANDA DALO',
DICIOTTO ANNI, CHE LO OSPITA ALL'ALBERGO "ALL'AZZURRO".
RULLY E' LA FIGLIA DEL MIO PROZIO GIUSEPPE, FRATELLO DEL MIO NONNO
MATERNO E PROPRIETARIO DELL'ALBERGO "ALL'AZZURRO".
LA FOTOGRAFIA E' SCATTATA DAL PADRE DI RUDI.





Ciao, Rudi,
Eva mi ha mandato un messaggio...
Ti sei allontanato da noi in silenzio, senza lasciarci il tempo di salutarti... ma noi ti ricorderemo perché tutto, intorno, ci parla ancora di te...
Ci hai voluto bene e te ne abbiamo voluto, caro Rudi!
Io, in particolar modo, conservo, per te, una riconoscenza del tutto speciale, che tengo, ben stretta, in un luogo profondo del mio cuore.
Voglio ringraziarti per tutte le fotografie che, fin dall'estate, ormai lontana, del 1954, quando io e il tuo primogenito Peter avevamo solo due anni di età, tu, appassionato e generoso, hai scattato a me, a mio fratello Nanni, allora di soli pochi mesi di vita, ai miei genitori Marì e Domenico, a quei tempi ancora giovani e forti, ai miei cugini, i Martinazzi, in vacanza, come noi, nell'avita limonaia, materna e paterna, antichi, romantici ruderi bianchi affacciati sul blu splendente del lago.
In queste fotografie, posso rivedere le sorelle del papà Anna e Margherita. Caterina, la più vecchia, non si faceva mai fotografare... Posso rivedere lo zio Dino Martinazzi, padre dei miei cugini, i miei nonni paterni e quelli materni, là riuniti, insieme, per festeggiarci.
Posso rivedere la barca di mio padre, "oggetto delle meraviglie" che, purtroppo, come sai, oggi non esiste più... Ogni anno, il papà la rimetteva a nuovo, ridipingendola pazientemente con l'azzurro, richiamando il colore del cielo, il colore del lago e quello dei suoi meravigliosi occhi luminosi e cangianti... finché, un giorno, preso dalla disperazione, vedendola marcire, decrepita, sotto gli oleandri colorati del porto, la portò in secca e la fece tutta a pezzi... l'amata barca... legna da ardere destinata al caminetto delle sue sorelle...
Nelle tue fotografie, posso rivedere persino la prozia "Maria del Gigi", che, allora, aveva ottantaquattro anni... Pensa che è vissuta fin oltre i novant'anni di età, dopo aver allevato tredici figli e due nipoti rimasti orfani di madre, dopo aver allattato, lei stessa, la sua sorellina più piccola, l'Amabile, perché la loro mamma non aveva più latte...
Posso rivedere la prozia Tonina, venuta, con grande sforzo, dall'America, nonostante i settantadue anni di età, per riabbracciare, ancora una volta, le sue sorelle e i suoi fratelli, in parte rimasti ed, in parte, ritornati in Italia, dopo gli anni duri dell'emigrazione...
Ricordo che il papà, in quell'occasione, alzandosi prestissimo, con il buio del primo mattino, era andato a prenderla, in automobile, fino a Genova, dove lei era arrivata con la nave, dopo ore ed ore di viaggio.
LIMONE SUL GARDA  -  ESTATE DEL 1936
LA "GARBERA" VISTA DALLA BANCHINA DELL'ALBERGO "ALL'AZZURRO".
FOTOGRAFIA SCATTATA DAL PADRE DI RUDOLF AMEND.


In molti di quegli attimi, fissati dai tuoi scatti, appare tua moglie Erika, giovane, bellissima, sempre molto curata ed elegante.
E mi sorprende sempre vedere come, negli Anni Cinquanta, assomigliasse incredibilmente a Lady Diana d'Inghilterra.
Appare, molto spesso, anche tua madre Anna, già in là con gli anni... Tu la chiamavi, per noi, "mamà Amend". Noi la chiamavamo "nonna di Peter". Ricordo che, nonostante l'età, faceva ancora il bagno nel lago anche quando era gelido, usando un grosso salvagente nero, che altro non era se non la camera d'aria di un vecchio pneumatico messo in disparte, appositamente per lei, dal meccanico del paese, il mitico "Aldo della benzina".
Ti ringrazio di cuore per le bellissime fotografie alle mie famiglie Dalò, Segàla e Martinazzi, in quegli anni riunite, la domenica, tutte insieme, a brindare e a mangiare dolci, in casa del nonno Adolfo e della nonna Verina, a Limone, in piazza..
Ti ringrazio per le foto scattate allo zio Pino, l'unico mio zio materno, alla mia prozia Lisetta, rimasta vedova, dopo soli cinque anni di matrimonio, con un bambino piccolo da crescere... ma anche all'Angioletta Dalò, a Tremosine, nell'estate del 1955 e al Franceschino Piantoni, "l'uomo delle api"... personaggi collegati, anch'essi, al mio sistema familiare da vincoli di parentela che, allora, a noi bambini, parevano, più che altro, segreti inspiegati...
E poi, ancora, nell'estate del 1957, a mia sorella Lella, nata da pochi mesi.
E, più avanti, agli amici Porteri, con il loro bambino ancora piccolo.
Ai Piantoni della "Garbéra", nipoti della mia nonna materna Verina.
 LIMONE SUL GARDA  -  ESTATE DEL 1936
RULLY, DICIOTT'ANNI, GUARDA IL LAGO ASSORTA IN UN SUO TRISTE PENSIERO.
FIGLIA DEL PROPRIETARIO DELL'ALBERGO "ALL'AZZURRO",
ORFANA DI MADRE DALL'ETA' DI SEI ANNI,
PERDERA', BEN PRESTO, ANCHE L'AMATISSIMO PADRE,
IN TRAGICA CIRCOSTANZA MAI DEL TUTTO CHIARITA..
PER RUDOLF, ADOLESCENTE, RULLY RAPPRESENTO'
IL PRIMO GRANDE AMORE DELLA VITA.



Ti ringrazio di cuore per le foto che ci hai scattato nella casa di Vobarno, in valle Sabbia, dove il papà lavorava. Penso fosse l'estate del 1958. Io e tuo figlio Peter avevamo sei anni e sembravamo due fidanzatini innamorati.
Ti ringrazio anche per le foto che riguardano il funerale del nonno Adolfo, nel settembre del 1965.
La mamma, pensando di preservarci dal dolore, non aveva voluto che noi bambini vi partecipassimo. Uno sbaglio, naturalmente, ma come fargliene una colpa?
Ora, grazie a te, posso anch'io ripercorrere, con commozione, quella triste giornata che fa parte della mia storia.
Ti ringrazio per tutto il tempo che ci hai dedicato e per l'affetto e la generosità che hai dimostrato nei nostri confronti, anno dopo anno, ininterrottamente.
Nella cassetta delle lettere, non mancavano mai i tuoi cartoncini di auguri per noi!
Una tradizione di famiglia, la tua, dato che già tuo padre, anche lui nato con la macchina fotografica a tracolla, come te, aveva avuto identico, forte legame d'amore con le mie famiglie di origine ed, in particolar modo, con i Dalò dell'albergo "All'Azzurro", il mitico prozio Bèppi e la carinissima cugina Rully.
LIMONE SUL GARDA  -  ESTATE DEL 1936
RUDI, SEDUTO SULLA PASSERELLA DELL'IMBARCADERO,
ASPETTA L'APPRODO DELL' "ANITA", LA BARCA DEI MARTINAZZI,
DIVENUTI, POI, SUOI GRANDI AMICI.
FOTOGRAFIA SCATTATA DAL PADRE DI RUDI.



Ora, le oltre trecento foto-negative che tu ci hai lasciato e l'incalcolabile numero di fotografie regalate alla nostra famiglia da te e, prima ancora di te, da tuo padre, sono diventate, per me, un tesoro prezioso per i miei studi psicogenealogici.
Le ho fatte sviluppare e le ho ingrandite tutte, alcune anche a piena pagina. 
Le ho messe in ordine di tempo e le ho raccolte.
Anita, figlia di Milly Martinazzi e cugina dei miei cugini, saputo dei miei studi, mi ha fatto vedere il bellissimo album di foto che tu le hai lasciato, album nel quale l'albergo "All'Azzurro", il mio prozio Bèppi Dalò, che, purtroppo, io non ho mai potuto conoscere... e sua figlia, la nostra "zia" Rully, noi bambini la chiamavamo zia anche se, in realtà, era cugina della mamma... la fanno, assolutamente, da padroni.
Lì, ho trovato molte foto che avevo già e molte altre che non avevo o che, addirittura, non avevo mai visto prima, come, per esempio, quelle che riguardano il funerale dello zio Bèppi, tanto presente nei sogni e nei racconti di mia madre, che amava ed ammirava questo suo intelligente e generoso zio paterno, tolto all'affetto dei suoi cari, nel settembre del 1944, in modo così tragico ed inaspettato, proprio in quel luogo magico ed incantevole che gli apparteneva.
Sai che, otto anni dopo, sempre a Limone, in casa Dalò, in piazza, a due passi da quel fiabesco angolo di lago, con l'aiuto della mia amata nonna Verina, levatrice del paese, io sono venuta al mondo nello stesso mese, nello stesso giorno ed alla stessa, identica ora in cui è stata tolta la vita al mio prozio Bèppi? 
Senza contare il nome... 
Giuseppe... divenuto Giuseppina.
Bèppi... trasmutato in Beppìna.
Ricordandoti sempre, 
mi voglio firmare con il nome 
con il quale tu mi chiamavi...
... tua affezionatissima Peppina
LIMONE SUL GARDA  -  ESTATE DEL 1936
IN BARCA CON ISAIA, GRANDE AMICO E COMPAGNO DI AVVENTURE,
FIGLIO DI MARIA, CUOCA DELL'ALBERGO "ALL'AZZURRO",
RAGAZZINO SENZA UN PADRE CERTO, CHE IL MIO PROZIO BEPPI
AVEVA ACCOLTO IN CASA COME FOSSE UN MEMBRO DELLA SUA FAMIGLIA.
FOTO AMEND
















martedì 16 febbraio 2016

SULLA DELUSIONE




DICIASSETTESIMO SCRITTO SUL TEMA

PAGHIAMO PEGNO AL PASSATO.. FINCHE' NON SI E' CANCELLATO IL DEBITO...





FERISCE, LOGORA, AVVELENA.. PENETRA FIN NELL'ANIMA E FA AMMALARE PIU' DI OGNI ALTRA COSA..


"... la delusione è un dolore.. che nasce sempre da una fiducia tradita.. dal voltafaccia di qualcuno.. in cui credevamo..."
scriveva Oriana Fallaci nel suo romanzo postumo "Un cappello pieno di ciliege", straordinaria epopea della sua famiglia d'origine, scritta, quando il futuro le si era ormai fatto corto, dopo anni ed anni di scrupolose ricerche su nonne, bisnonni, trisnonne ed arcavoli... genitori, ormai lontani, che avevano plasmato, con i loro passaggi nel tempo, il mosaico del suo Io.

CHRISTIAN SCHLOE




Andare incontro ad una delusione, profonda o superficiale, grande o piccola che sia... dover prendere atto di un qualcosa che non si è realizzato come avrebbe dovuto, qualcosa che, in un solo istante, ha reso vana la nostra aspettativa, la nostra positività, la nostra attesa e la nostra speranza... riportare o subire, a causa dell'altrui intervento, un esito fallace, fallimentare, contrario all'entusiasmo e al desiderio investiti... vedersi traditi nella fiducia, ingannati, umiliati, beffati, scherniti, burlati... constatare che un lavoro è riuscito meno bene di quanto ci si aspettasse perché, dietro le quinte, qualcuno, ha remato nella direzione opposta alla nostra... è un fatto che colpisce alle spalle, che ferisce, che fa sanguinare nel corpo e nello spirito, che addolora, che avvelena, che arriva fin nell'anima, che fa ammalare più di ogni altra cosa.
Ci si sente come chi ha subito un torto che non meritava e ci si vede costretti, nostro malgrado, a trovare un modo per ricambiarlo, per compensarlo... nel tentativo di ritrovare la pace perduta... nell'intento di ristabilire l'ordine originario.. di riportare l'equilibrio e la fiducia fra le parti in gioco... nel desiderio di salvare l'amicizia, il rapporto di lavoro, la relazione affettiva..
CHRISTIAN SCHLOE


La fiorentina Oriana Fallaci, una delle autrici più lette ed amate nel mondo, nel suo romanzo postumo, la monumentale, appassionata, melodrammatica saga familiare "Un cappello pieno di ciliege", opera di inedita, commovente poesia... giocata sui "passaggi nel tempo"... con poderosa metrica scandita dal personaggio della "Storia"... scrive al riguardo: 
"... Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione. 
Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita, cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. 
E a subirla ti senti ingannato, beffato, umiliato. 
La vittima di un'ingiustizia che non ti aspettavi, di un fallimento che non meritavi. 
Ti senti anche offeso, ridicolo, sicché, a volte, cerchi la vendetta. 
Scelta che può dare un po' di sollievo, ammettiamolo, ma che di rado s'accompagna alla gioia e che, spesso, costa più del perdono..."
CHRISTIAN SCHLOE

Se c'è ancora comunione di anime, rispetto, calore e stima, tra l'una e l'altra parte in campo, se non vogliamo perdere la persona che, fino a quel momento, si è relazionata con noi, nel bene o nel male, allora vale la pena di tentare, per amore, di compensare... ricambiando il danno o lo sgarbo che ci è stato arrecato, con uno sgarbo leggermente inferiore, il più piccolo possibile... ma pur sempre uno sgarbo... perché chi si ritiene troppo buono per fare del male all'altro, rovina, quasi sempre e, il più delle volte, senza neppure sapere il perché, il rapporto a due, sia esso di famiglia, di lavoro o di amicizia..
Se, viceversa, fra le due parti c'è solo indifferenza e nessuno dei due sa dire all'altro "mi dispiace", se non si desidera più ricevere nulla l'uno dall'altro, allora non vale la pena di compensare, né nel bene, né nel male...
CHRISTIAN SCHLOE



Pretendere un risarcimento, anche se infinitesimale, un qualcosa che, comunque, pesi all'altro e che sia sufficiente a pareggiare di nuovo i conti tra i due, toglie, in parte, la sofferenza e fa bene all'ordine e all'equilibrio della relazione.
Quando regneranno nuovamente il rispetto, la stima, la fiducia e l'amore, si compenserà nel bene, andando incontro per primi e dando, all'altra parte in gioco, qualcosa di più.
CHRISTIAN SCHLOE




giovedì 11 febbraio 2016

SULL'ADOZIONE



SEDICESIMO SCRITTO SUL TEMA

PAGHIAMO PEGNO AL PASSATO.. FINCHE' NON SI E' CANCELLATO IL DEBITO...




QUANDO L'ADOZIONE, DA GRANDE OPERA SOCIALE QUALE E' CONSIDERATA OGGI DALL'OPINIONE PUBBLICA, DIVENTA, INVECE, UNA COLPA PROFONDA... UNA GRAVE INGIUSTIZIA COMMESSA DA PERSONE ADULTE AI DANNI DI CREATURE INDIFESE ED IGNARE, QUALI SONO I BAMBINI, IN NOME DI UN PROPRIO EGO... UN IO DEL TUTTO PERSONALE... L'IO DI CHI PENSA SOLO A SE STESSO ED AI PROPRI INTERESSI.. ANCHE A COSTO DEL DANNO ALTRUI... L'IO DI CHI NON SA VALUTARE ED INTERPRETARE LA REALTA'.. PERCHE' LA SUBORDINA ALLE SUE AMBIZIONI..


CHRISTIAN SCHLOE
arte digitale


Tutti, o quasi, nella nostra società odierna, pensano che le adozioni abbiano un importante valore umanitario e i genitori adottivi sono, nella maggior parte dei casi, tenuti in grandissima considerazione, stimati, apprezzati e chiamati benefattori...
Chi ha una visione diretta della realtà, sa che, questa, è una "falsa strada", che sconvolge gli "ordini naturali" della famiglia e le stesse "leggi della vita".
L'adozione è giustificata soltanto se il bambino o la bambina in questione, non ha più nessuno al mondo... se entrambi i genitori sono morti e non esistono più nemmeno i genitori della madre o del padre, le zie e gli zii... o se il bambino è stato abbandonato e non c'è traccia alcuna che possa condurre ad un parente diretto o indiretto che sia.
In questo caso, come succede anche in natura, da che mondo è mondo, il bambino rimasto orfano nei suoi legami di sangue, viene soccorso, accolto, accudito, allevato e cresciuto da estranei, che compiono, seguendo d'istinto le leggi della vita, una grandissima azione "ordinaria", un atto d'amore "del tutto normale", pienamente giustificato.
Al contrario, se si adottano bambini e bambine seguendo la moda del momento e a "cuor leggero", come succede, troppo spesso, ai giorni nostri, portando via questi bambini dalla loro terra, dal loro ambiente, dai loro genitori e dai loro nonni... si commette uno sbaglio... anzi, una grave ingiustizia.
I figli appartengono ai loro genitori ed alla loro famiglia d'origine, alla loro "patria", alla loro "terra madre"...
Il "non possiamo avere figli nostri", il "provvederemo noi a tutto il necessario", il "non mancherà nulla", non giustifica, ad esempio, l'adozione di un bimbo "strappato dal grembo materno" ad una giovane ragazza-madre, neppure se, questa, fosse stata indirizzata all'aborto...
Chi dà via i figli e chi li prende ad altri, ben presto si sentirà profondamente colpevole e, il più delle volte, senza sapere neppure il perché..
Come sarebbe bello vedere queste coppie senza figli, uomo e donna, uomo e uomo, donna e donna, aiutare bambini in difficoltà a rimanere nella loro famiglia di origine, andando incontro, in un qualche modo, alle loro necessità del momento...
Padre e madre fisici sono e saranno sempre più importanti... vengono e verranno sempre al primo posto.. rispetto a padre e madre sociali... perché le leggi della natura non possono essere neppure paragonate a quelle dello stato...
E poi, la "grandezza" di un'anima non sta forse nella capacità di riuscire a sostenere il proprio destino all'interno della famiglia alla quale appartiene?

CHRISTIAN SCHLOE
arte digitale

mercoledì 10 febbraio 2016

LA NONNA MATERNA



VENTIDUESIMO SCRITTO SUL TEMA

MI VENGONO INCONTRO DAL PASSATO.. TENDENDOMI LA MANO..




DEDICATO ALLA MIA AMATA NONNA VERINA


LA NONNA MATERNA E' MOLTO IMPORTANTE PER NOI NIPOTI CHE DA LEI DISCENDIAMO...
IL SUO RUOLO E' FONDAMENTALE.. NON SOLO DAL PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO, MA, A QUANTO SEMBRA, ANCHE DA QUELLO GENETICO...

VERONICA PIANTONI, LA MIA NONNA MATERNA,
FIGLIA DI GIOVANNI PIANTONI E DI ROSA SEGALA,
NATA, A LIMONE SAN GIOVANNI, IL 29 DI APRILE DEL 1896
E MORTA, AD ARCO DI TRENTO, IL 2 DI MARZO DEL 1986.


Quanta ammirazione ha suscitato in me la mia nonna materna!
Così dinamica, esuberante, disinibita, impavida... 
assetata di indipendenza e di libertà,
capace di cogliere l'attimo, anticipando i tempi..



Determinata, volonterosa, intraprendente,
coraggiosa, orgogliosa, autosufficiente.. 
abituata a lavorare in modo concreto, 
sperimentando in prima persona,  
con un grande senso dell'onore e della dignità personale...

Nessuno la poteva confondere con altri o calpestare..
Non permetteva a nessuno di mancarle di rispetto..


I dati statistici ci dicono che, all'interno del sistema familiare di origine, la figura più ricordata e più amata in assoluto è quella della nonna materna.
Anche per me è stato così, anche se non c'era alleanza alcuna fra mia madre e mia nonna...
I loro rapporti erano tutt'altro che fluidi...
Gli scambi, per niente felici...
Nessun sentimento di amicizia albergava fra loro... anzi, era decisamente la rivalità a farla da padrona...
Eppure, fra me e la nonna materna, c'era una incredibile, reciproca simpatia, una complicità, un'intesa, un continuo, immediato passaggio di pensiero... 
Mia nonna non amava mia madre, mia madre non amava me, ma io e la nonna ci amavamo, eccome!
Ora che, attraverso la sofferenza, sono diventata adulta, capisco che, in quel grande affetto che mia nonna nutriva per me, era compresa anche mia madre, ma, allora, ero piccola e non riuscivo a spiegarmi il perché di un tale meccanismo... e tutto mi appariva così insidioso...
Veronica, detta Verina, questo il bellissimo nome della mia nonna materna, ha contribuito non poco a mitigare gli effluvi negativi che mi raggiungevano e mi devastavano, provenienti dalla durezza di mia madre, dalla sua superiorità, dalla sua severità, dalla sua autorità...
Anche la nonna, a sua volta, non aveva ricevuto amore da sua madre, la mia bisnonna Rosina, ma ricordava, con tanto affetto, la sua nonna, anche se, in questo caso, devo dire il vero, si trattava della nonna paterna, la mia trisavola Veronica, stesso nome di battesimo della nonna, figura antica che la aspettava,  in grazia, alla limonaia di "Sopino Alto", dove la accoglieva amorevolmente con un mezzo uovo sodo ed uno spicchio di arancia... un rito che si ripeteva sempre uguale, una cerimonia tutta loro, un piacere semplice che la mia nonna, anziana, ricordava con tanta nostalgia...
Oggi sappiamo che la figura della nonna materna è fondamentale per i nipoti che da lei discendono, molto di più rispetto a quella del nonno stesso, suo coniuge... e non solo dal punto di vista psicologico, ma anche, così almeno sembra, da quello genetico...
La mia nonna Verina, quando era incinta di mia mamma, attraverso i suoi ovociti, mi ha trasmesso, inconsapevolmente, informazioni, programmi, memorie di vita vissuta.. che, saltando una generazione, sono rimbalzati a me..
Il mio ovulo, come quello di mio fratello e quello di mia sorella, conteneva già tutti i ricordi della nonna incinta, le sue gioie, i suoi dispiaceri, i suoi desideri, le sue passioni, i segreti, gli affetti più cari, i conflitti celati e inespressi, il modo di vivere la quotidianità, di far fronte ai problemi ordinari, di risolvere quelli straordinari...
Come non sentirla vicina?

VERINA, A PADOVA, DURANTE IL PRATICANTATO, 
POSA IN DIVISA DA OSTETRICA.
SARA' L'ULTIMA LEVATRICE DI LIMONE SUL GARDA
ED ESERCITERA' LA SUA PROFESSIONE, ININTERROTTAMENTE, 

PER OLTRE CINQUANT'ANNI..


Nata a Limone, sul lago di Garda, nell'antica limonaia della Garbéra, dove i genitori lavoravano come fattori dei Conti Bettoni, nobile famiglia bresciana che, durante la stagione estiva, soggiornava sul lago, nel palazzo di Bogliaco, ma anche a Limone, nella Garbéra stessa, Verina, bella come il sole, energica e disinibita, venne mandata, ancora adolescente, a Brescia, al servizio della Contessa Bettoni, che, a sua volta, la indirizzò a Padova, dopo essersi accorta che la ragazzina aveva un serio problema di udito all'orecchio sinistro.
Ricoverata in ospedale, a Padova, per le cure del caso, la mia nonna prese improvvisamente coscienza di se stessa e della sua vera natura...
Si appassionò, a tal punto, del lavoro ospedaliero che le ruotava tutto attorno, da volersi iscrivere immediatamente alla "Scuola d'Ostetricia" della "Regia Università di Padova" per diventare levatrice.

 LA MIA NONNA MATERNA, 
NELL'ANTICA LIMONAIA DELLA GARBERA,
DOVE ABITAVA CON I SUOI FRATELLI 

FRANCESCO E BERNARDO, DETTO DINO,
 CON SUA SORELLA MARIA E CON I SUOI GENITORI.
VERINA ERA IN GRADO DI TOGLIERE 

E DI RIMETTERE IL LEGNAME,
CHE RIPARAVA I GIARDINI DI AGRUMI 

DAI FREDDI VENTI INVERNALI,
 CON L'AGILITA' DI UN GATTO...



Erano gli anni bui del primo conflitto mondiale...
Rosina e Giovanni, i genitori di Verina, sul Garda sconvolto dalla guerra, cercavano già, in tutti i modi possibili, di racimolare il denaro necessario all'acquisto dell'antica limonaia in declino dove lavoravano ed abitavano, per passare da fattori a proprietari, con i conseguenti piccoli vantaggi...
A Padova, la passione, portò mia nonna a frequentare la scuola con assiduità e con profitto tanto che, il giorno 23 di maggio del 1916, Veronica sostenne, con lode, l'esame per "L'Abilitazione all'esercizio della Professione di Levatrice". 
Il giorno successivo, le venne rilasciato il "Diploma in nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d'Italia" per mano del Professor Ferdinando Lori, Cavaliere dell'Ordine Mauriziano e Commendatore dell'Ordine Italiano della Corona, nonché Rettore della Regia Università di Padova.
Con lei, i cinque suoi insegnanti, due professori e tre ostetriche, e le altre ventuno levatrici diplomate in quell'anno insieme a lei, fra le quali l'amica del cuore, Carmen Collodel, che le rimarrà, poi, vicina.
Innamorata di Padova e della sua bella, nuova professione, Verina si trattenne in quella città per altri due anni di praticantato ospedaliero, prima di fare definitivamente ritorno a Limone, di divenire sposa e madre... e levatrice del paese, l'ultima, per oltre cinquant'anni...
Quanto l'ho ammirata!
Quanto le ho voluto bene!
Come avrei voluto assomigliare a lei!
Portare il suo nome!
Avere la sua bellezza, la sua disinvoltura e la sua forza d'animo!
Quanti bambini ha aiutato a venire al mondo!
A quanti ha salvato la vita!
Ha affrontato una cifra incalcolabile di casi difficili e li ha risolti con l'aiuto delle sue mani esperte... dita lunghe e affusolate...
Quante volte è salita su per la montagna ad aiutare, con la luce del giorno o con il buio della notte, con la neve, con il freddo, con la pioggia e col gelo, le mogli dei carbonai che, anche se prossime al travaglio, sorvegliavano le cataste di legna ardenti che trasmutavano in carbone!
Quante volte ha assistito gli anziani e i moribondi, sostituendosi al medico o all'infermiera!
Che dolore straziante, che pena indicibile, fallire proprio con un suo nipote!

PADOVA, 14 MARZO 1916
VERONICA, DETTA VERINA, 20 ANNI, 

POSA PER IL FOTOGRAFO CAVALIER R. FIORENTINI.
FREQUENTARE LA SCUOLA D'OSTETRICIA 

PRESSO LA REGIA UNIVERSITA' DI PADOVA
LA RIEMPIVA DI GIOIA E DI ORGOGLIO.


giovedì 4 febbraio 2016

PERCHE' TU POSSA CANTARE



SEDICESIMO SCRITTO SUL TEMA

"AVRAI SEMPRE UN GRANDE POSTO NEL MIO CUORE"




"...DOPO UN ANNO SOTTO LA TERRA..."

IN RICORDO DI UN'AMICA


"La cigarra", famosissima canzone scritta da Maria Elena Walsh nel lontano 1973, in fuga dal governo di Peròn, e divenuta, con il tempo, un inno popolare cantato in onore di tutte le vittime della censura, dell'esilio, delle dittature militari di tutte le epoche e di tutte le latitudini, piaceva tantissimo a Sira.
Molti i cantautori che, nel corso degli anni, l'hanno ripresa per condannare gli allontanamenti forzosi di alcuni cittadini dalla loro patria, le imposizioni, i controlli, i provvedimenti punitivi adottati dalle autorità ecclesiastiche, le scomuniche, le sospensioni, gli interdetti, i biasimi e le disapprovazioni morali...
La ripropongo anch'io, per Sira e per tutti gli amici, nella versione italiana e nella versione originale.
La traduzione è di Maria Cristina Costantini.



COME LA CICALA

Tante volte mi hanno ucciso

tante volte sono morta
eppure sono qui
sto risuscitando.
Ringrazio la sventura
e la mano armata di pugnale
perché mi hanno colpito a morte
e ho continuato a cantare.

Cantare al sole come la cicala

dopo un anno sotto la terra,
come un sopravvissuto
che torna dalla guerra.

Tante volte mi hanno cancellato

tante sono scomparsa
al mio stesso funerale
sono andata sola e in lacrime.
Ho fatto un nodo al fazzoletto
ma poi mi sono dimenticata
che non era l'unica volta,
e sono tornata cantando.

Cantando al sole come la cicala

dopo un anno sotto la terra,
come un sopravvissuto
che torna dalla guerra.

Tante volte ti hanno ucciso

tante risusciterai,
passerai tante notti
nella disperazione.
E nell'ora del naufragio
e dell'oscurità
qualcuno ti salverà
perché tu possa cantare.

Cantare al sole come la cicala

dopo un anno sotto la terra,
come un sopravvissuto
che torna dalla guerra.


"LA CIGARRA"


Tantas veces me mataron,
tantas veces me morí,
sin embargo estoy aquí
resucitando.
Gracias doy a la desgracia
y a la mano con puñal
porque me mató tan mal,
y seguí cantando.

Cantando al sol como la cigarra
después de un año bajo la tierra,
igual que sobreviviente
que vuelve de la guerra.

Tantas veces me borraron,
tantas desaparecí,
a mi propio entierro fuí
sola y llorando.
Hice un nudo en el pañuelo
pero me olvidé después
que no era la única vez,
y volví cantando.

Cantando al sol como la cigarra
después de un año bajo la tierra,
igual que sobreviviente
que vuelve de la guerra.

Tantas veces te mataron,
tantas resucitarás,
tantas noches pasarás
desesperando.
A la hora del naufragio
y la de la oscuridad
alguien te rescatará
para ir cantando.

Cantando al sol como la cigarra
después de un año bajo la tierra,
igual que sobreviviente
que vuelve de la guerra.