QUINDICESIMO SCRITTO SUL TEMA
PAGHIAMO PEGNO AL PASSATO.. FINCHE' NON SI E' CANCELLATO IL DEBITO...
IL TRAUMA, IL LUTTO, LA SOFFERENZA, IL DOLORE, LA MALATTIA.. SONO MOMENTI FORMATIVI, CHE DANNO PROFONDITA' E SPESSORE ALLA NOSTRA VITA...
La vita è complessità e drammaticità.
Voler, a tutti i costi, accelerare la guarigione di una malattia, velocizzare la soluzione di un problema, insistere troppo sul semplificare, sul bonificare, sul depurare, sul dimenticare o sul rimuovere, equivale a banalizzare il dolore, la malattia, il problema e la vita stessa.
Le situazioni difficili, quelle di chi "non sa che partito prendere", le questioni complicate, sulle quali si impone, urgente, il "dover trovare una soluzione", i dubbi da chiarire prima possibile, perché generano troppa preoccupazione, i turbamenti dell'equilibrio psichico e di quello morale che tutti negano, allontanano, combattono perché noiosi, fastidiosi, molesti, difficili da accettare... le "maledizioni", le "sciagure", i danni, gli svantaggi, le difficoltà, le avversità e tutti quanti i problemi quotidiani dell'esistenza, non sono mai degli "incidenti di percorso" da "saltare a piè pari", da scavalcare, da aggirare, da circumnavigare, da ignorare, da evitare, da mettere da parte...
Le filosofie e le religioni di tutti i tempi e di tutte le latitudini del pianeta ci hanno sempre insegnato che la vita acquista un senso solo nella prospettiva del disagio, del pericolo, del malessere, del dolore, della malattia, della morte.
Noi tutti abbiamo un connaturato bisogno di confrontarci con questa dimensione imprescindibile della vita.
Fuggire non serve, perché qualcosa o qualcuno ci riporterà sempre là, sul "luogo del delitto", sull'orlo di quella rovina profonda ed oscura, di quel baratro dell'orrore, di quel precipizio di pene, di quell'abisso infernale.
La stessa religione cristiana dei miei avi, verso la quale, pur essendo andata oltre le mie origini, nutro un gran senso di fedeltà e di riconoscimento dei valori, adora un corpo afflitto, sofferente, torturato, martirizzato, seviziato, straziato e ucciso su di una croce, pur essendo una fede la cui promessa è tutta rivolta alla resurrezione ed alla vita eterna.
Vita e morte non sono due realtà separate.
Sono due realtà che vivono bene insieme, costantemente correlate ed interconnesse fra di loro... due realtà gemellari, associate, simbiotiche... se non addirittura mescolate, "impastate" fra di loro, amalgamate, sovrapposte l'una all'altra.
Il loro rapporto di convivenza è molto stretto.
La loro associazione durevole, inscindibile.
Non può esistere la vita senza la morte, né la morte senza la vita...
Ci definiamo "esseri viventi" in quanto sappiamo di dover morire.
Ci definiamo "mortali" proprio perché viviamo.
La sofferenza è un sentimento di grande intensità e di grande potenza.
E' "pathos", è trasporto, è drammaticità, è "passione".
Solo attraversando il dolore possiamo riuscire a capire nel profondo gli eventi e a trasformarli in esperienze.
E' dall'afflizione che emerge l'anima.
La vicinanza con la pena e con la morte ci porta la conoscenza dei misteri dell'essere.
Il lutto, la tristezza, il dispiacere, la mancanza, la nostalgia, la malinconia... il trauma, il travaglio, la sofferenza, il dolore, la malattia, la morte, sono presi in considerazione, troppo spesso, solo per il loro aspetto negativo... brutti momenti, calamità, disgrazie dalle quali uscire al più presto, cercando una veloce soluzione.
Andrebbero, invece, considerati anche i preziosi aspetti formativi legati a queste realtà, aspetti che conferiscono profondità e spessore alla vita.
Ogni dolore ci fornisce l'occasione per una trasformazione, per un rinnovamento, perché ogni sofferenza amplifica, ingigantisce, provoca l'espansione e la contrazione della nostra psiche, del nostro corpo e della nostra anima e da ogni malattia, anche dalla più crudele, può uscire un "maestro spirituale" capace di condurci, lungo sentieri inesplorati, a vivere una nuova vita.
La malattia nasce da un movimento dell'anima, da una sua necessità.
Ha un suo senso profondo al quale non dobbiamo rinunciare.
Da problema, quale è comunemente considerato, potrebbe diventare risorsa.
Allontanare scortesemente la nostra ombra, rinchiudere subito in una stanza tutto quello che la tradizione ci ha indicato come "negativo" (disordine, disequilibrio, malattia, dolore) è sbagliato.
La vita è un sentimento unitario di commistione fra bene e male, fra positivo e negativo...
L'uomo ha bisogno di confrontarsi anche con la paura e persino - sembrerà strano - con il dolo, con il reato, con l'artifizio, con il raggiro, con la frode, con l'inganno... con le anormalità, con le deviazioni, con la follia, con il maleficio, con la violenza, con i delitti, con i massacri, con le stragi...
Molti genitori tendono a nascondere ai figli situazioni che potrebbero incutere paura o provocare sofferenza: la morte del nonno, quella del cane, del gatto, del canarino... la malattia incurabile dello zio, il suo ricovero in ospedale... la depressione della zia, il suo isolamento...
Alcuni, pensando di far bene, rendono addirittura le fiabe meno "terribili"... e, prima di leggerle ai figli o ai nipoti, le ripuliscono dal male, dalla rabbia, dall'odio, dalla cattiveria, dalla crudeltà, dalla sofferenza, dal dolore, dalla morte...
E' uno sbaglio!
I bambini vanno condotti per mano il più presto possibile attraverso le situazioni "ingestibili", attraverso quelle circostanze "ad alto rischio" che nessuno ama affrontare...
Vanno accompagnati a guardare con attenzione le realtà che incutono paura...
Devono poter toccare la mano del nonno morto, accarezzare le piume dell'uccellino senza vita, dire "arrivederci" allo zio che si ritirerà, entro breve termine, in un'altra dimensione...
In caso contrario, la loro paura non saprà dove attaccarsi e diventerà ancora più grande.
Quando cerchiamo di allontanare da noi stessi un dolore, di reprimerlo, di dimenticarlo, di soffocarlo, di rimuoverlo, di negarlo, esso non si dissolve, non si scioglie, non evapora, non sparisce, non si annulla...
Diventa, al contrario, più forte e più potente, nascosto nei luoghi reconditi del nostro inconscio.
Il tempo lo farà, poi, riaffiorare in un sol colpo, riconsegnandolo a noi che pensavamo di averlo già dimenticato...
Ci ritornerà indietro ingigantito.
L'unico modo per liberarci dall'afflizione è quello di elaborarla, di accoglierla, di riconoscerla, di guardarla diritta negli occhi, di accettarla, di integrarla, di farla nostra, di darle un posto nel cuore.
Solo quando avremo fatto pace con le nostre parti d'ombra, solo quando avremo espresso il nostro dispiacere per averle rifiutate o rimosse e avremo riconosciuto un reciproco amore fra "bene" e "male", fra "buono" e "cattivo", fra "vittima" e "colpevole", saremo liberi.
Quando ci si imbatte in una difficoltà, in un problema, quando si ha a che fare con un dolore, con una malattia è bene, dunque, ricordarsi che solo il confronto e l'accoglienza sono liberatori.
Mettere da parte, prendere scorciatoie, uscire velocemente, correre via più presto possibile, non pone fine alla sofferenza.
Quando luce ed ombra, vita e morte, aggressore ed aggredito, giudice ed escluso, rimangono divisi e contrapposti l'un l'altro, ognuno arroccato sulle sue posizioni, senza dialettica di confronto, il movimento dell'anima alla ricerca del suo equilibrio rimane interrotto e la persona imprigionata nel suo problema.
Anche il "male" ha una sua ragion d'essere e il fatto che, a volte, il suo senso ci sfugga non toglie nulla alla sua "grandezza".
La nostra morale che giudica e condanna tutti gli aspetti nei quali non vogliamo riconoscerci è troppo ristretta nei confronti della vita.
La vita è e sarà sempre superiore a quello che noi pensiamo di lei.
A noi non resta che riconoscere ciò che è.
Le situazioni difficili, quelle di chi "non sa che partito prendere", le questioni complicate, sulle quali si impone, urgente, il "dover trovare una soluzione", i dubbi da chiarire prima possibile, perché generano troppa preoccupazione, i turbamenti dell'equilibrio psichico e di quello morale che tutti negano, allontanano, combattono perché noiosi, fastidiosi, molesti, difficili da accettare... le "maledizioni", le "sciagure", i danni, gli svantaggi, le difficoltà, le avversità e tutti quanti i problemi quotidiani dell'esistenza, non sono mai degli "incidenti di percorso" da "saltare a piè pari", da scavalcare, da aggirare, da circumnavigare, da ignorare, da evitare, da mettere da parte...
Le filosofie e le religioni di tutti i tempi e di tutte le latitudini del pianeta ci hanno sempre insegnato che la vita acquista un senso solo nella prospettiva del disagio, del pericolo, del malessere, del dolore, della malattia, della morte.
Noi tutti abbiamo un connaturato bisogno di confrontarci con questa dimensione imprescindibile della vita.
Fuggire non serve, perché qualcosa o qualcuno ci riporterà sempre là, sul "luogo del delitto", sull'orlo di quella rovina profonda ed oscura, di quel baratro dell'orrore, di quel precipizio di pene, di quell'abisso infernale.
Vita e morte non sono due realtà separate.
Sono due realtà che vivono bene insieme, costantemente correlate ed interconnesse fra di loro... due realtà gemellari, associate, simbiotiche... se non addirittura mescolate, "impastate" fra di loro, amalgamate, sovrapposte l'una all'altra.
Il loro rapporto di convivenza è molto stretto.
La loro associazione durevole, inscindibile.
Non può esistere la vita senza la morte, né la morte senza la vita...
Ci definiamo "esseri viventi" in quanto sappiamo di dover morire.
Ci definiamo "mortali" proprio perché viviamo.
1878 - "NOTTE E SONNO" - UN DETTAGLIO DEL DIPINTO DI EVELYN DE MORGAN. BOTTICELLI, AMATO MAESTRO, RIVIVE IN MARY EVELYN PICKERING, PRESENTE FIN NEI MINIMI PARTICOLARI DEI SUOI LAVORI... |
E' "pathos", è trasporto, è drammaticità, è "passione".
Solo attraversando il dolore possiamo riuscire a capire nel profondo gli eventi e a trasformarli in esperienze.
E' dall'afflizione che emerge l'anima.
La vicinanza con la pena e con la morte ci porta la conoscenza dei misteri dell'essere.
Andrebbero, invece, considerati anche i preziosi aspetti formativi legati a queste realtà, aspetti che conferiscono profondità e spessore alla vita.
Ogni dolore ci fornisce l'occasione per una trasformazione, per un rinnovamento, perché ogni sofferenza amplifica, ingigantisce, provoca l'espansione e la contrazione della nostra psiche, del nostro corpo e della nostra anima e da ogni malattia, anche dalla più crudele, può uscire un "maestro spirituale" capace di condurci, lungo sentieri inesplorati, a vivere una nuova vita.
La malattia nasce da un movimento dell'anima, da una sua necessità.
Ha un suo senso profondo al quale non dobbiamo rinunciare.
Da problema, quale è comunemente considerato, potrebbe diventare risorsa.
1878 - "NOTTE E SONNO" ALTRO DETTAGLIO DEL DIPINTO DI EVELYN DE MORGAN. NELLA "NOTTE" CHE TRASCINA IL "SONNO", RIVEDIAMO "ZEFIRO" E "CLORI" DELLA "NASCITA DI VENERE" DI SANDRO BOTTICELLI... |
La vita è un sentimento unitario di commistione fra bene e male, fra positivo e negativo...
L'uomo ha bisogno di confrontarsi anche con la paura e persino - sembrerà strano - con il dolo, con il reato, con l'artifizio, con il raggiro, con la frode, con l'inganno... con le anormalità, con le deviazioni, con la follia, con il maleficio, con la violenza, con i delitti, con i massacri, con le stragi...
"L'ANGELO DELLA MORTE" - DETTAGLIO - 1880 DIPINTO DI EVELYN DE MORGAN |
Alcuni, pensando di far bene, rendono addirittura le fiabe meno "terribili"... e, prima di leggerle ai figli o ai nipoti, le ripuliscono dal male, dalla rabbia, dall'odio, dalla cattiveria, dalla crudeltà, dalla sofferenza, dal dolore, dalla morte...
E' uno sbaglio!
I bambini vanno condotti per mano il più presto possibile attraverso le situazioni "ingestibili", attraverso quelle circostanze "ad alto rischio" che nessuno ama affrontare...
Vanno accompagnati a guardare con attenzione le realtà che incutono paura...
Devono poter toccare la mano del nonno morto, accarezzare le piume dell'uccellino senza vita, dire "arrivederci" allo zio che si ritirerà, entro breve termine, in un'altra dimensione...
In caso contrario, la loro paura non saprà dove attaccarsi e diventerà ancora più grande.
Quando cerchiamo di allontanare da noi stessi un dolore, di reprimerlo, di dimenticarlo, di soffocarlo, di rimuoverlo, di negarlo, esso non si dissolve, non si scioglie, non evapora, non sparisce, non si annulla...
Diventa, al contrario, più forte e più potente, nascosto nei luoghi reconditi del nostro inconscio.
Il tempo lo farà, poi, riaffiorare in un sol colpo, riconsegnandolo a noi che pensavamo di averlo già dimenticato...
Ci ritornerà indietro ingigantito.
L'unico modo per liberarci dall'afflizione è quello di elaborarla, di accoglierla, di riconoscerla, di guardarla diritta negli occhi, di accettarla, di integrarla, di farla nostra, di darle un posto nel cuore.
Solo quando avremo fatto pace con le nostre parti d'ombra, solo quando avremo espresso il nostro dispiacere per averle rifiutate o rimosse e avremo riconosciuto un reciproco amore fra "bene" e "male", fra "buono" e "cattivo", fra "vittima" e "colpevole", saremo liberi.
"ANGELO CON SERPENTE" DIPINTO DI EVELYN DE MORGAN (LONDRA, 30 AGOSTO 1855 - LONDRA, 2 MAGGIO 1919) |
Mettere da parte, prendere scorciatoie, uscire velocemente, correre via più presto possibile, non pone fine alla sofferenza.
Quando luce ed ombra, vita e morte, aggressore ed aggredito, giudice ed escluso, rimangono divisi e contrapposti l'un l'altro, ognuno arroccato sulle sue posizioni, senza dialettica di confronto, il movimento dell'anima alla ricerca del suo equilibrio rimane interrotto e la persona imprigionata nel suo problema.
La nostra morale che giudica e condanna tutti gli aspetti nei quali non vogliamo riconoscerci è troppo ristretta nei confronti della vita.
La vita è e sarà sempre superiore a quello che noi pensiamo di lei.
A noi non resta che riconoscere ciò che è.