UNDICESIMO SCRITTO SUL TEMA
IL CORPO E' UN IMMENSO SPECCHIO DELLA NOSTRA MEMORIA
DEDICATO A MIA MADRE
"UN GIORNO TI HO CHIAMATO MADRE.
LO SEI RIMASTA PER TUTTA LA VITA."
RIELABORAZIONE SOGGETTIVA, IN FORMA DI POESIA, DELLA SESTA SEDUTA DI DIGITOPRESSIONE SUI PUNTI DELL'AGOPUNTURA.
LA "RIEVOCAZIONE POETICA", PRECEDUTA DA UN BREVE TESTO CHE FUNGE DA "INCIPIT", E' AVVENUTA DOPO UNA SOMMARIA RICOSTRUZIONE SPONTANEA DELLE REALTA' EMERSE, IN FASE DI VISUALIZZAZIONE, NEL CORSO DELLA SEDUTA STESSA.
E' SCATURITA, SENZA FORZATURA ALCUNA, A QUALCHE GIORNO DI DISTANZA DAL TRATTAMENTO RICEVUTO ED E' LIBERAMENTE ISPIRATA AD UN VECCHIO RACCONTO DI BERT HELLINGER, GRANDE MAESTRO CHE, VENTI GIORNI OR SONO, HA FESTEGGIATO, IN PIENA FORMA FISICA, I SUOI NOVANT'ANNI DI ETA'.
OPERATORE GUIDA :
FISIOTERAPISTA FABRIZIO CENTONZE
"... d'in cima a' ghiacci diasprati
sciogliea, nastri d'argento, le cascatelle allegre..."
Giosuè Carducci
"Elegia del Monte Spluga"
vv, 7 - 8
sciogliea, nastri d'argento, le cascatelle allegre..."
Giosuè Carducci
"Elegia del Monte Spluga"
vv, 7 - 8
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VALLE SABBIA - VOBARNO - 1957 LA MAMMA CON NOI TRE BAMBINI NELLA FIAT TOPOLINO DEL PAPA' |
PREMESSA
Mi metto comoda, sdraiata da ovest verso est, in direzione del lago e mi raccolgo in me stessa, chiudendo gli occhi e respirando adagio per prendermi ancora qualche minuto di tempo in più, prima di iniziare la seduta...
Allontano il più possibile tutti i miei pensieri e immagino me stessa come un foglio bianco sul quale l'esperienza non ha ancora tracciato i suoi segni.
Allontano il più possibile tutti i miei pensieri e immagino me stessa come un foglio bianco sul quale l'esperienza non ha ancora tracciato i suoi segni.
Il silenzio e la penombra della stanza mi permetteranno di accedere alla visualizzazione senza distrazioni e di "annotare" meglio, nei taccuini della mia memoria, tutto quello che mi accadrà durante il trattamento.
La mia guida mi ricorda di ascoltare e di accogliere senza trarre mai conclusioni.
Di lì a poco sceglierà il flusso energetico da seguire, selezionerà i punti sui quali soffermarsi, li analizzerà e li classificherà... troppo pieni o, viceversa, troppo vuoti... troppo duri o, al contrario, troppo molli... caldi o freddi, sensibili o insensibili, dolenti in profondità oppure già in superficie...
La fermerò solo sui punti "di allarme", quelli dove la pressione mi sembrerà troppo fastidiosa.
Inspiro ed espiro sempre più lentamente.
L'aria che esce porta via tutti i miei pensieri, le mie preoccupazioni, le mie ombre...
Mi sento accolta e a mio agio.
Inspiro ed espiro sempre più lentamente.
L'aria che esce porta via tutti i miei pensieri, le mie preoccupazioni, le mie ombre...
Mi sento accolta e a mio agio.
Fabrizio dà inizio all'apertura della seduta rilassandomi le spalle ed il collo.
La pressione delle sue dita è, come sempre, delicata ma, allo stesso tempo, anche molto profonda.
Le sue mani, appoggiate sulle mie spalle, aprono e sciolgono tutti i pesi che la mia mente vi ha caricato.
La sua voce è calda e sommessa:
"Ora sentirai il tuo corpo farsi sempre più pesante..
Abbandonalo alla forza di gravità della terra..."
E ancora:
"Non ti suggerisco nulla..
Lascio che la visualizzazione ti arrivi da sola...
Un luogo, un colore, una persona..."
E' facile fare ritorno all'infanzia mentre si è distesi, come su di un fasciatoio, con una persona di fiducia che si prende cura di te con amore, come facevano tua madre e tuo padre nel tempo, ormai lontano, dei tuoi primissimi mesi di vita, quando ti pulivano, ti lavavano, ti asciugavano, ti incipriavano, ti rivestivano... quando ancora c'era un contatto fisico tra genitori e figli...
Mentre penso a questa realtà, sento, improvvisamente, il bisogno di contattare la mano del mio operatore, di averla, almeno per un momento, sopra la mia.
Le immagini iniziano a venirmi incontro in successione, come quando si è tra la veglia ed il sonno... rappresentazioni mentali di corpi, di figure, di spazi... espressioni di concetti rievocati alla memoria e trasfigurati dalla fantasia...
Nonostante gli occhi chiusi, da est-sudest mi arriva, ancora per un attimo, l'immagine cara del lago, sul quale si affacciano le vetrate della stanza.
E' azzurro, grigio e argento, aperto e appena increspato, già poeticamente trasfigurato dalla mia fantasia.
Poi, questa volta da est-nordest, mi viene incontro il volto gigantesco di una zingara e, subito di seguito, ma, questa volta da ovest, in luogo elevato e scosceso, il possente santuario della "Madonna della Rocca", la valletta della Degagna da un lato, la valle Sabbia dall'altro e, in basso, abbandonato nel fondovalle e attraversato dal fiume Chiese, il paese di Vobarno con la sua acciaieria, terra montana dei primi vent'anni della mia esistenza.
L'immagine dell'edificio sacro, costruito sui resti di una massiccia fortezza medioevale del X secolo, attira, più di ogni altra, la mia attenzione...
Un attimo e sono alla mia infanzia.
Sono bambina... sette o forse otto anni di età.
Non sono sola.
Insieme a me ci sono mio fratello e mia sorella, entrambi più piccoli.
E poi c'è mia madre, giovane, forte, piena di energia, con, sottobraccio, un cesto di vimini colmo di frutta, di dolci, di panini imbottiti e di bevande e con in mano le "gocce di pino" per noi bambini, grosse caramelle ovali, ricoperte di granella di zucchero ed intrise di olio essenziale balsamico che serviva ad aiutare il respiro durante la salita.
Ci teniamo per mano, io e i miei fratelli.
Anche la mamma ci tiene per mano e ci indica la strada.
Siamo ai piedi della ripida salita che conduce alla "Madonna della Rocca", sulla cima del colle Cingolo, meta dei nostri frequenti "pellegrinaggi"... piacevoli passeggiate, tra il sacro ed il profano, che ci portavano ad allontanarci dal rumore cupo e minaccioso dell'acciaieria e a raggiungere un luogo consacrato e restaurato in assoluzione di voto di devozione, un insediamento difensivo recuperato dopo un lungo periodo di abbandono, uno spazio silenzioso ricco di fascino e di mistero, un posto fuori dal tempo che ci attirava e che ci incuteva paura, un "luogo alto" dove riuscivamo ancora a respirare aria di tempi lontani... a sentire profumi appartenuti ad altre epoche... a cercare passaggi segreti ormai murati, cammini di ronda, feritoie, frecce scagliate dalle balestre... a immaginare, rimbalzando nel tempo, battaglie, soldati, sangue e baionette lungo i dirupi precipiti a picco sul paese sottostante... un eremo dove non incontravamo mai nessuno, ma dove la nostra fantasia riusciva a lavorare a tal punto da produrre spettri, ombre, fantasmi, presunte forme materializzate di spiriti antichi ormai trapassati...
La mamma è vestita di bianco, i capelli nerissimi e corti e sembra così sicura di sé, davanti a noi.
Dipendiamo completamente da lei.
Ci raccomanda di non allontanarci neppure per un secondo e ci ricorda che, proprio lì, nei pressi di quelle ultime abitazioni isolate, confine tra il paese ed il colle, è stato rapito un bambino, strattonato via, in malo modo, da una zingara e portato lontano dalla sua casa e dai suoi affetti...
Come era rimasta impressionata la mamma dal rapimento di Fabio Chiele, il bimbo vobarnese scomparso nel nulla e ritrovato, poi, in Sardegna, tredici mesi dopo, in un accampamento nomade. Fabio aveva solo un anno di età.
La madre, Maddalena, lo aveva lasciato seduto, per un attimo, sui gradini che portavano all'uscio della sua casa, mentre lei, raggiunta la parte interna dell'abitazione, si era messa a sbrigare, tenendolo d'occhio, una qualche piccola faccenda domestica.
Un attimo e il bambino non c'era più.
Ci uniamo alla mamma e diamo inizio al nostro pellegrinaggio, un legame di fede che i vobarnesi rinnovavano, ogni anno, con una grande festa che si teneva la seconda domenica di settembre e che noi perpetuavamo, a modo nostro, in ogni stagione, ogni volta che il tempo ce lo permetteva.
Una storia iniziata l'otto di dicembre del 1944, con una richiesta di protezione dai bombardamenti, quando, nell'ultima fase della Seconda Guerra Mondiale, gli aerei degli "alleati" iniziarono a prendere di mira, per colpirlo, lo stabilimento Falck ed il piccolo paese bresciano che gli si era sviluppato al fianco e che dipendeva esclusivamente da questa fonte di reddito.
Così è iniziata la visualizzazione che mi ha condotto a focalizzare tutta la mia attenzione su mia madre, grande, e pressoché unica, figura di accudimento per me e per i miei fratelli.
La meditazione che ne è seguita mi ha riportato alla memoria un breve, intenso racconto di Bert Hellinger, dove un figlio implora in ginocchio il genitore morente, pur di avere la sua benedizione prima del definitivo addio.
Quanta forza aveva ed ha, a tutt'oggi, mia madre..
Il lato ombra del suo fortissimo senso materno, che tendeva, troppo spesso, a manifestarsi in forma soffocante, ha impedito, più di una volta, a noi figli di crescere, di fare scelte, di esprimere in modo autonomo le nostre verità, ma come era bello sentirsi accuditi, protetti, al sicuro, con lei vicina che ci nutriva, ci dissetava e sorvegliava su di noi...
ED ECCO LA RIELABORAZIONE POETICA
SCATURITA DA QUESTA VISUALIZZAZIONE :
A TE, MADRE..
"Ti ho chiamata "Mamma!"
Era un un giorno lontano...
Lo sei rimasta
per tutta la mia vita."
Le sue mani, appoggiate sulle mie spalle, aprono e sciolgono tutti i pesi che la mia mente vi ha caricato.
La sua voce è calda e sommessa:
"Ora sentirai il tuo corpo farsi sempre più pesante..
Abbandonalo alla forza di gravità della terra..."
E ancora:
"Non ti suggerisco nulla..
Lascio che la visualizzazione ti arrivi da sola...
Un luogo, un colore, una persona..."
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LIMONE SUL GARDA - 1957 LA MAMMA CON NOI TRE FIGLI PICCOLI NELLA CASA DEI MIEI NONNI MATERNI. (DETTAGLIO DI UNA DELLE TANTE FOTOGRAFIE SCATTATE DALL'AMICO RUDOLF AMEND ) |
E' facile fare ritorno all'infanzia mentre si è distesi, come su di un fasciatoio, con una persona di fiducia che si prende cura di te con amore, come facevano tua madre e tuo padre nel tempo, ormai lontano, dei tuoi primissimi mesi di vita, quando ti pulivano, ti lavavano, ti asciugavano, ti incipriavano, ti rivestivano... quando ancora c'era un contatto fisico tra genitori e figli...
Mentre penso a questa realtà, sento, improvvisamente, il bisogno di contattare la mano del mio operatore, di averla, almeno per un momento, sopra la mia.
Le immagini iniziano a venirmi incontro in successione, come quando si è tra la veglia ed il sonno... rappresentazioni mentali di corpi, di figure, di spazi... espressioni di concetti rievocati alla memoria e trasfigurati dalla fantasia...
Nonostante gli occhi chiusi, da est-sudest mi arriva, ancora per un attimo, l'immagine cara del lago, sul quale si affacciano le vetrate della stanza.
E' azzurro, grigio e argento, aperto e appena increspato, già poeticamente trasfigurato dalla mia fantasia.
Poi, questa volta da est-nordest, mi viene incontro il volto gigantesco di una zingara e, subito di seguito, ma, questa volta da ovest, in luogo elevato e scosceso, il possente santuario della "Madonna della Rocca", la valletta della Degagna da un lato, la valle Sabbia dall'altro e, in basso, abbandonato nel fondovalle e attraversato dal fiume Chiese, il paese di Vobarno con la sua acciaieria, terra montana dei primi vent'anni della mia esistenza.
L'immagine dell'edificio sacro, costruito sui resti di una massiccia fortezza medioevale del X secolo, attira, più di ogni altra, la mia attenzione...
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VALLE SABBIA - VOBARNO - 1958 LA MAMMA, I MIEI FRATELLI E UN PICCOLO AMICO DI FAMIGLIA |
Un attimo e sono alla mia infanzia.
Sono bambina... sette o forse otto anni di età.
Non sono sola.
Insieme a me ci sono mio fratello e mia sorella, entrambi più piccoli.
E poi c'è mia madre, giovane, forte, piena di energia, con, sottobraccio, un cesto di vimini colmo di frutta, di dolci, di panini imbottiti e di bevande e con in mano le "gocce di pino" per noi bambini, grosse caramelle ovali, ricoperte di granella di zucchero ed intrise di olio essenziale balsamico che serviva ad aiutare il respiro durante la salita.
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1958 - LA MAMMA CON MIA SORELLA |
Anche la mamma ci tiene per mano e ci indica la strada.
Siamo ai piedi della ripida salita che conduce alla "Madonna della Rocca", sulla cima del colle Cingolo, meta dei nostri frequenti "pellegrinaggi"... piacevoli passeggiate, tra il sacro ed il profano, che ci portavano ad allontanarci dal rumore cupo e minaccioso dell'acciaieria e a raggiungere un luogo consacrato e restaurato in assoluzione di voto di devozione, un insediamento difensivo recuperato dopo un lungo periodo di abbandono, uno spazio silenzioso ricco di fascino e di mistero, un posto fuori dal tempo che ci attirava e che ci incuteva paura, un "luogo alto" dove riuscivamo ancora a respirare aria di tempi lontani... a sentire profumi appartenuti ad altre epoche... a cercare passaggi segreti ormai murati, cammini di ronda, feritoie, frecce scagliate dalle balestre... a immaginare, rimbalzando nel tempo, battaglie, soldati, sangue e baionette lungo i dirupi precipiti a picco sul paese sottostante... un eremo dove non incontravamo mai nessuno, ma dove la nostra fantasia riusciva a lavorare a tal punto da produrre spettri, ombre, fantasmi, presunte forme materializzate di spiriti antichi ormai trapassati...
La mamma è vestita di bianco, i capelli nerissimi e corti e sembra così sicura di sé, davanti a noi.
Dipendiamo completamente da lei.
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LIMONE SUL GARDA - REAMOL - 1958 IO E LA MAMMA NELLA CASA DEI MIEI NONNI PATERNI |
Come era rimasta impressionata la mamma dal rapimento di Fabio Chiele, il bimbo vobarnese scomparso nel nulla e ritrovato, poi, in Sardegna, tredici mesi dopo, in un accampamento nomade. Fabio aveva solo un anno di età.
La madre, Maddalena, lo aveva lasciato seduto, per un attimo, sui gradini che portavano all'uscio della sua casa, mentre lei, raggiunta la parte interna dell'abitazione, si era messa a sbrigare, tenendolo d'occhio, una qualche piccola faccenda domestica.
Un attimo e il bambino non c'era più.
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LIMONE SUL GARDA - 1957 LA MAMMA CON ME, MIA SORELLA E UN PICCOLO AMICO DI FAMIGLIA NELLA CASA DEI MIEI NONNI MATERNI |
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VOBARNO - VALLE SABBIA - BRESCIA - 1958 LA MAMMA CON NOI FIGLI PICCOLI ED UN NOSTRO AMICHETTO |
Così è iniziata la visualizzazione che mi ha condotto a focalizzare tutta la mia attenzione su mia madre, grande, e pressoché unica, figura di accudimento per me e per i miei fratelli.
La meditazione che ne è seguita mi ha riportato alla memoria un breve, intenso racconto di Bert Hellinger, dove un figlio implora in ginocchio il genitore morente, pur di avere la sua benedizione prima del definitivo addio.
Quanta forza aveva ed ha, a tutt'oggi, mia madre..
Il lato ombra del suo fortissimo senso materno, che tendeva, troppo spesso, a manifestarsi in forma soffocante, ha impedito, più di una volta, a noi figli di crescere, di fare scelte, di esprimere in modo autonomo le nostre verità, ma come era bello sentirsi accuditi, protetti, al sicuro, con lei vicina che ci nutriva, ci dissetava e sorvegliava su di noi...
ED ECCO LA RIELABORAZIONE POETICA
SCATURITA DA QUESTA VISUALIZZAZIONE :
A TE, MADRE..
Una figlia
andò da sua madre
e le chiese:
“Madre,
ti prego,
dammi la tua benedizione
prima di andartene!”
La madre,
un tempo autoritaria e severa,
rispose:
“La mia benedizione
sarà
accompagnarti
lungo un tratto
del sentiero della conoscenza...”
All'alba,
si incontrarono nel luogo convenuto.
La figlia si fece piccola
di fronte alla propria madre.
Salirono l'erto colle,
su, su, fino all'antica Rocca,
lontano dalle ombre della loro stretta valle...
I passi
risuonavano come preghiera
a celebrare il ricordo
dell'antico voto...
Quando,
finalmente,
giunsero in cima,
sul finire del giorno,
sopraffatte dalla fatica,
videro,
in tutte le direzioni,
tra le rocce ed il cielo,
la terra inondata di luce...
La Rocca,
distrutta,
ricostruita,
divenuta chiesa,
dominava,
possente e severa,
le due valli,
la corte sottostante,
la ferriera ed il fiume...
Il sole scomparve,
portando con sé
i suoi raggi lucenti...
Fu subito notte,
ma, in quell'oscurità,
quello che avevano cercato
si rivelò...
e videro una moltitudine di stelle
scintillanti e lontane...
La figlia,
un tempo antagonista e ribelle,
si inchinò profondamente
davanti alla madre
per accogliere,
attraverso di lei,
la benedizione dell'universo.
“Tu sei la migliore fra tutte le madri, per me,
perché sei la mia!”
"Ti ho chiamata "Mamma!"
Era un un giorno lontano...
Lo sei rimasta
per tutta la mia vita."
Alzarono il viso,
madre e figlia,
madre e figlia,
e il vento portò una pioggia leggera...
Nelle gocce,
piccole lenti
ferme sulle guance della madre,
c'erano le carezze meravigliose
di chi,
un tempo,
le era stato vicino...
Gli sguardi pieni di affetto
di suo padre...
La dolcezza infinita
della zia...
Le parole premurose e benevole
della nonna...
Lo sguardo acuto e sagace
dello zio...
Il sorriso bellissimo e distaccato
di sua madre,
anima antica,
un tempo indifferente e lontana...
(Il testo della poesia è liberamente ispirato ad un racconto di Bert Hellinger.
Le fotografie sono state scattate dall'amico Rudolf Amend, detto Rudi.)
Le fotografie sono state scattate dall'amico Rudolf Amend, detto Rudi.)
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